L’evoluzione di ogni specie biologica procede per gradini molto bassi, si potrebbe quasi dire per inciampi successivi, che portano una popolazione a scartare o selezionare determinate forme o comportamenti. Il dibattito su quanto siano frequenti oppure alti questi gradini, che ciascun gruppo di animali o di esseri viventi in genere debba affrontare, è aperto; da un secolo e mezzo, i biologi rielaborano l’insegnamento di Charles Darwin, proponendo sottoteorie sempre più elaborate per descrivere la storia di ciascun taxon.
Il disinfestatore si trova ogni giorno a contatto con animali soggetti, come ogni altro vivente, alle leggi dell’evoluzione; l’urgenza professionale che lo spinge ad analizzare questo fenomeno è del tutto peculiare. Sappiamo che Darwin, e con lui altri scienziati evoluzionisti, hanno tratto le loro conclusioni anche delle esperienze di contadini, allevatori, zoologi. Per certi versi, il punto di vista del disinfestatore è specularmente opposto, poiché egli guarda ad esseri viventi che sta cercando di contrastare: una posizione la nostra, poco empatica con l’oggetto di studio, ce ne rendiamo conto, ma spesso necessaria.
Di norma distinguiamo grossolanamente due categorie di animali infestanti: vertebrati ed artropodi. Tra i primi, roditori e volatili, si annoverano animali più simili a noi per caratteristiche anatomiche e fisiologiche, oltre che per comportamenti istintivi. Non fatichiamo per nulla ad immedesimarci in un topo che cerca di procurarsi il cibo senza essere visto, o in un colombo che deve raggiungere il nido dove nutrire i propri piccoli. Sono comportamenti che appartengono anche alla nostra indole, anche se fortunatamente non proprio alla nostra esperienza diretta. Quando studiamo le loro mosse, prevediamo istintivamente quali siano le loro priorità e quali risposte daranno a ciascun problema. Da qui deriva la parte più stimolante del nostro lavoro: osservare, ragionare, prendere decisioni; è quello che facciamo sia noi disinfestatori, sia i nostri antagonisti.
La condotta degli artropodi è decisamente diversa. Essi hanno scale di priorità profondamente differenti, e ci risulterebbe difficile solidarizzare con una blatta infanticida o con una formica che si immola ciecamente di fronte ad un pericolo. Non di addentriamo per ragioni di spazio nell’analisi della soggettività di un artropodo, cioè di quanto questi animali abbiano sviluppato una coscienza di se stessi, e quanto i loro comportamenti siano stati selezionati in modo da preservare la sopravvivenza e la riproduzione: del singolo individuo (poco); della popolazione, della famiglia o del gruppo geneticamente uniforme (molto spesso); della specie (mai?). Limitiamoci ad osservare che ogni loro comportamento è standardizzato, e quindi, una volta noto, più facilmente prevedibile e manipolabile. Dal nostro punta di vista, faticheremo molto di più a comprendere come possa un insetto volare insistentemente contro lo stesso vetro fino a sfinirsi, senza studiare percorsi alternativi; una volta però compreso il meccanismo, questo tenderà a ripetersi praticamente all’infinito, riservandoci poche sorprese.
Il lavoro del disinfestatore è quindi più meccanico quando rivolto ad artropodi, mentre nei confronti dei vertebrati sono necessarie maggiori doti di improvvisazione. Così dicendo, abbiamo ovviamente definito un confine grossolano, soggetto ad infinite sfumature, ed anche a qualche eccezione davvero interessante.
Citiamo un paio di recenti ricerche, una basata sulla semplice osservazione del comportamento in natura, l’altra eseguita inducendo una risposta in un ristretto numero di insetti. Partendo dalla seconda, il professor Chittka della Queen Mary University di Londra ha utilizzato dei bombi, insetti che molti conoscono come delle grosse api, molto carini perché pelosissimi e tutto sommato inermi, al contrario delle simili vespe.
In laboratorio, alcuni bombi avevano imparato che trasportando degli oggetti, delle piccole palline, in un determinato luogo, ne ricevevano in cambio una ricompensa, sotto forma di liquido zuccherino. Un bel passo avanti nell’apprendimento, ma nessun clamore: sono molti gli animali, noi compresi, che possono assimilare un compito per del liquido zuccherino, per un bicchiere di bibita gassata, o per chissà cos’altro. La sorpresa dell’esperimento sta nel secondo passo: altri bombi sono stati messi ad osservare le operazioni, ed una volta messi alla prova, hanno dimostrato di avere imparato osservando i propri simili; immediatamente si procuravano la ricompensa portando le palline al punto prescelto dagli sperimentatori. Complicando l’esperimento, i bombi sono stati messi alla prova con alcune palline che sembravano più comode, perché più vicine all’obiettivo, ma che erano impossibili da spostare perché incollate; anche qui i bombi hanno appreso senza problemi, semplicemente osservando i loro simili, quali palline conviene muovere e quali invece si rivelano uno sforzo inutile.
Una brutta botta per il nostro senso di superiorità di vertebrati: esistono insetti in grado di osservare ed imparare. (Molto meglio di alcuni frequentatori dei talk show elettorali.)
L’altra ricerca alla quale accennavamo si basa invece sull’osservazione delle zanzare, e dei loro comportamenti in natura, così come sono stati indotti e selezionati dell’uomo, anzi, dai disinfestatori. Numerose ricerche effettuate nei paesi tropicali, dove la zanzara anofele vettore della malaria causa ogni anno migliaia di vittime, hanno evidenziato un cambiamento nelle abitudini delle zanzare. Il DDT, e in genere gli insetticidi permessi ed utilizzati nei vari Paesi, vengono applicati negli ambienti chiusi direttamente sulle pareti, laddove si sa che le zanzare appoggiandosi entreranno in contatto con le sostanze in grado di ucciderle. Dopo decenni di utilizzo di queste tecniche, i biologi sul campo hanno osservato una sorprendente evoluzione: le zanzare non si appoggiano più sulle pareti, ma cercano in ogni modo di volare direttamente verso l’ospite da pungere. Hanno imparato ad evitare l’insetticida? Non proprio: hanno semplicemente seguito un classico meccanismo evolutivo. Tra le zanzare che non avevano mai conosciuto gli insetticidi, doveva già esistere una seppur minima differenza genetica che ne influenzava il comportamento: la maggior parte di esse procedeva per brevi voli verso l’ospite, appoggiandosi qua e là anche sulle pareti, prima di arrivare al pasto; la maggior parte, ma non tutte: altre zanzare volavano verso la nostra pelle direttamente dall’esterno, senza prima essere notate. Se le prime e più “normali” sono state falcidiate dall’applicazione degli insetticidi, coi quali venivano a contatto sulle pareti, le altre zanzare hanno avuto più possibilità di sopravvivere, e di riprodursi. La genetica, ed i comportamenti di una zanzara ad essa correlati, hanno necessitato di numerose generazioni per manifestarsi; tuttavia, nel giro dei decenni e delle centinaia di generazioni succedutesi nel frattempo, il cambiamento è avvenuto. Queste zanzare non si appoggiano più alle pareti. Si tratta di popolazioni costituite quasi interamente da discendenti di chi già in precedenza amava volare più a lungo. Anche l’utilizzo delle zanzariere a protezione dei letti, che in alcuni paesi tropicali rappresenta la più sicura autodifesa dalla malaria, ha indotto cambiamenti nel comportamento delle zanzare, che tendono ormai a non appoggiarsi alle reti sulle quali si smarriscono, o muoiono per contatto con gli insetticidi. Un brutto problema per i disinfestatori, che vedono ridursi l’efficacia delle applicazioni di insetticida alle pareti.
La risposta a questi problemi è duplice. Da una parte, senza dubbio l’innovazione è l’arma principale con la quale rimanere al passo, di fronte ad ogni cambiamento. Innovare in questo caso significa osservare ogni fenomeno, e studiare strategie nuove, insieme a tecniche, strumenti e prodotti chimici.
Accanto a ciò non dobbiamo dimenticare che cambiamenti evolutivi così repentini negli animali infestanti sono dovuti anche a comportamenti standardizzati da parte nostra. Di fronte al prevalere generalizzato di una ben precisa tecnica di disinfestazione, pensiamo ad esempio all’applicazione di esca in gel contro Blattella germanica, è ovvio che l’insorgenza di popolazioni resistenti sia solo questione di tempo. La resistenza si può manifestare sia come immunità ad un determinato prodotto chimico, sia come comportamento che elude la nostra tecnica applicativa, e qui la natura ci mostra puntualmente come sempre più ricca di fantasia rispetto a noi.