SFIDA ALLE ZANZARE: IMPIANTO PER DISINFESTAZIONE AUTOMATIZZATA

La disinfestazione zanzare è una sfida difficile: se zanzariere e piante aromatiche non bastano, bisogna pensare anche a trattamenti larvicidi ed adulticidi, rivolgendosi sempre ad operatori professionali. Se i risultati non sono ancora quelli attesi, rinunciare ad utilizzare il proprio giardino è la risposta più sbagliata.

I sistemi di disinfestazione automatizzata sono sempre più diffusi. Poco alla volta, ogni giorno, senza alcuna fatica, un impianto per disinfestazione automatizzata funziona in modo simile ad un impianto di irrigazione; l’acqua è mescolata con il prodotto contro le zanzare, il tutto viene erogato attraverso speciali ugelli nei punti strategici del giardino. Ogni giorno, o più volte al giorno, la macchina fa tutto da sola, tenendo lontane zanzare ed altri insetti fastidiosi. Con un impianto ben progettato, anche le implicazioni ambientali positive possono essere notevoli.

A questo punto la disinfestazione diventa un ricordo. Alla manutenzione della macchina potrà pensare il padrone di casa: solo due volte l’anno, per arire e chiudere l’impianto. A tutto il resto pensa la macchina da sola. I trattamenti così programmati, ogni giorno, per pochi minuti al giorno, si riveleranno meno costosi e molto più efficaci.

OCCHIO AI PINI, E’ TEMPO DI PROCESSIONARIA

E’ tempo di processionaria. Molti alberi ne vanno soggetti: i più esposti sono però le conifere, in particolare i pini. Alla fine dell’inverno si notano dei batuffoli bianchi in cima alle chiome degli alberi. Sono grossi come un pallone da calcio o di più, cingono molti rami vicini tra loro, e visti da vicino perdono tutto il loro fascino. Si presentano infatti come una compatta ragnatela con all’interno migliaia di minuscoli bruchi scuri, lunghi pochi centimetri.

Sono, questi bruchi, delle larve di una farfalla chiamata Thaumetopoea pityocampa. Nel corso dell’anno questi insetti attraversano diverse fasi del loro sviluppo. Alla fine dell’inverno stanno terminando di trascorrere i mesi freddi nel bozzolo dove hanno trovato, radunati, un po’ di calore. Col caldo si disperderanno per nutrirsi delle foglie dell’albero, dopodiché li vedremo scendere dal tronco, per nascondersi nel terreno ed effettuare una muta. Tutti questi spostamenti vengono fatti in fila indiana: da qui il nome di processionaria.

Attenzione: le processionarie sono insetti urticanti; i loro peli possono arrecare gravi danni. Capita spesso con i nostri cani, che sono pochi accorti nell’avvicinarsi.

DISinFESTA opera il trattamento contro le processionarie, o gatte pelose. È possibile agire direttamente sui bozzoli degli alberi, oppure iniettare prodotti endoterapeutici attraverso la linfa dell’albero, oppure si possono applicare speciali corone ai tronchi, in modo da operare la cattura degli insetti in processione.

UNA LUNGA STORIA DI LOTTA INTEGRATA

La zanzara anofele è il protagonista di una intricata vicenda che si è svolta nel nostro Paese, vicenda iniziata all’epoca dell’Unità, e trascinatasi fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale. In questo thriller, alla zanzara anofele è spettato senza dubbio il ruolo del cattivo: prima ha agito nell’ombra mietendo vittime indifese, poi è stata riconosciuta, ha lottato strenuamente, infine è stata sconfitta, ma non del tutto debellata, solo allontanata. Questa trama appassionante è un eccellente esempio di lotta integrata ad un parassita: la lotta è stata multidisciplinare, estremamente complessa, e la disinfestazione vera e propria, utilizzata nel finale, è stata solo una delle tante armi, tutte necessarie, ma nessuna da sola bastevole a sconfiggere il nemico.

Ancora sul finire del 1800 larghe parti del nostro territorio erano gravemente minacciate della malaria. I casi erano frequentissimi lungo tutta la costa ed i corsi dei principali fiumi. Ma il problema era grave soprattutto nelle regioni paludose, alla foce del Po, in maremma, nel Lazio e nella Sardegna occidentale, dove era praticamente impossibile non contrarre il morbo. Il nome della malattia deve la sua origine proprio ai miasmi di queste paludi, che a lungo si è pensato fossero in qualche modo l’origine del problema: mal’aria. Ancora nel 1881, nel romanzo I Malavoglia si descrive un caso di infezione da malaria che denuncia conoscenze immunologiche piuttosto vaghe da parte dell’autore. Fu un gruppo di biologi, italiani e non solo, ad identificare negli ultimi due decenni dell’Ottocento, prima il microrganismo agente della malattia, poi il suo vettore.

La causa della malaria sono diverse forme di plasmodi, che compiono alcune fasi del loro ciclo nei tessuti della zanzara, ed altre nei tessuti dell’uomo, passando dall’una all’altro tramite le punture. Plasmodium malariae è stato il primo di questi agenti ad essere descritto nel 1889 da Raimondo Feletti e Giovanni Battista Grassi; è il plasmodio all’origine delle febbri quartane. Esse coincidono con la lisi dei globuli rossi, che si verifica dopo 72 ore di accrescimento del plasmodio nel sangue. Febbri terzane, più ravvicinate, sono causate da altri plasmodi, tra i quali il più letale è Plasmodium falciporum.

Successivamente Grassi accertò i legami tra i plasmodi e le zanzare del genere Anopheles. Negli stessi anni alle stesse conclusioni arrivava il clinico britannico Ronald Ross, ma solo quest’ultimo fu poi insignito del Nobel. Il primo e più noto esperimento condotto in campo per dimostrare la responsabilità delle zanzare, fu la miglioria delle strutture nelle quali vivevano i braccianti, nelle zone di Ostia e di Paestum. Sapendo che la zanzara è attiva e punge durante le ore crepuscolari e serali, a costoro venne chiesto di ritirarsi in quelle ore all’interno di abitazioni ben protette da apposite zanzariere. I risultati furono eccellenti. Che se ne rendessero conto oppure no, avevano inventato la lotta integrata.

Il primo rimedio che fu proposto per difendersi dalla zanzara anofele e dalla pericolose conseguenze della sua puntura, fu quindi un meccanismo di esclusione. Chiunque faccia disinfestazione quotidianamente, sa benissimo quali siano le difficoltà nel convincere un cliente ad apportare delle modifiche strutturali atte a risolvere o arginare un problema. Preferirebbero sempre che noi estraessimo la bacchetta magica. È quindi facile immaginare quali furono le difficoltà che Grassi ed i naturalisti della sua scuola incontrarono nel proporre le loro soluzioni di buon senso. Tali soluzioni, a 120 anni di distanza, possono apparire a prima vista ovvie; se tuttavia osserviamo le porte e le finestre di un laboratorio artigianale di panetteria o della cucina di un ristorante oggi, nel 2016, dobbiamo ammettere che in alcuni casi, tanto ovvie le loro indicazioni non lo sono ancora.

La gente continuava purtroppo a vivere in case di fortuna, con finestre mal protette nelle quali al tramonto le zanzare potevano entrare e nutrirsi a piacimento. I rimedi dovettero moltiplicarsi. Ora che ne conoscevano le cause, i medici si fecero carico di una vastissima campagna di diagnosi della malattia. Se ne studiò meglio il ciclo, e si utilizzò con criterio il chinino. Lo Stato istituì su questo prezioso composto il Monopolio. Le maestre andarono nei paesi più minuscoli ed insegnarono quelle pratiche di igiene che potevano salvare la vita delle persone. Intere regioni furono bonificate, e questa, sebbene sia stato uno scempio agli occhi del naturalista di oggi, fu una soluzione efficacissima per limitare la diffusione degli insetti vettore: togliere habitat all’animale target.

All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la malaria nel nostro Paese era ormai limitata a zone ristrette. Migliaia di persone rimanevano comunque a rischio di infezione, anche se il numero di morti era drasticamente ridotto.

L’inizio della disinfestazione attiva per combattere la malaria può essere datato al 1939: fu in quell’anno che si diede il via in Sardegna ad un massiccio piano di distribuzione di DDT. Era passato poco più di mezzo secolo dalle prime intuizioni di G.B. Grassi. In tutti quegli anni la lotta alla malaria, e alla zanzara suo vettore, era stata attuata mediante: analisi del problema; introduzione di buone pratiche comportamentali, volte a contrastare la malattia sia direttamente, sia indirettamente attraverso il suo vettore; cura clinica della malattia; sistemi di esclusione del vettore; provvedimenti di riduzione delle zone di nidificazione del vettore. In poche parole: lotta integrata, su scala nazionale.

Solo a valle di queste azioni, si ricorse alla distribuzione generalizzata di insetticidi. L’utilizzo del DDT diede i risultati sperati: non solo in Italia, ma in tutta l’Europa e nel Nord America la malaria fu eradicata nel giro di circa due decenni.

Negli anni ’60 si diffuse poi la consapevolezza sui molteplici effetti collaterali della molecola utilizzata per la disinfestazione. Il DDT ha parecchie controindicazioni: il suo tempo di degradazione è altissimo, rimane perciò nell’ambiente senza scomporsi anche per anni. Certo questo oggi sarebbe il sogno di ogni disinfestatore che distribuisca prodotti residuali, ma il DDT, ed i composti derivanti dalla sua decomposizione, sono altamente tossici, non solo per l’uomo ma per molti organismi viventi, non target, che ad esso vengano esposti. La sua difficile degradazione è quindi una vera bomba ad orologeria. In realtà gli effetti cancerogeni del DDT non sono mai stati chiariti del tutto. Sebbene si tratti certamente di un composto tossico, parte della sua pessima fama è dovuta al suo essere la prima molecola che abbia fatto parlare di sé in quanto utile, ma velenosa. La nostra coscienza ambientale nei confronti delle molecole tossiche prodotte industrialmente dall’uomo, poggia anche sulla campagna portata avanti per la messa al bando del DDT.

Il DDT non può più essere utilizzato in Italia e in Europa a partire dal 1978. Si è comunque continuato a produrlo, per destinarlo al mercato estero, almeno fino al 1997. Nei Paesi dove la malaria rappresenta ancora un’emergenza, il dibattito sull’utilizzo di questo efficacissimo insetticida rimane però aperto. Non è certo l’unica molecola insetticida conosciuta. Ne abbiamo a disposizione ogni giorno decine differenti e con profili di tossicità sempre meno marcati. Tuttavia l’utilizzo del DDT in talune aree conviene ancora, sia per l’alta residualità del composto, sia per il suo basso costo. Sono segnalati casi di resistenza, in India soprattutto dove alcune specie di Anopheles non sono più sensibili all’insetticida. L’abbandono del DDT è stato comunque tentato in zone dove la malaria rimane endemica: in Sudafrica meno di vent’anni fa nella provincia di Kwazulu i casi di malaria ebbero un’impennata non appena si sospesero i trattamenti. I tentativi di procedere con più costosi insetticidi a minore residualità e minore tossicità si sono rivelati poco efficaci.

Come spesso accade nel valutare i nostri progressi scientifici, e le accresciute capacità tecniche, è impossibile mettere sui due piatti della bilancia il nostro benessere e le conseguenze delle nostre azioni, peraltro difficilmente prevedibili. Agire sempre in maniera ponderata, con pazienza e con tanta passione per la conoscenza di ciò che si sta facendo: questo è l’insegnamento che Grassi e gli altri protagonisti di quella vicenda ci hanno dato.

OGGI PARLIAMO… DI COSA CI PORTA LA PRIMAVERA

Finalmente la primavera è arrivata. Le giornate si allungano, si percepisce nell’aria un dolce tepore che invoglia a stare all’aperto e godere dei piacevoli raggi del sole. Si respira un nuovo profumo, il profumo della primavera che è il preludio del risveglio di tutta la natura dal lungo letargo invernale. Tutto si desta e riprende vita. Le piante mostrano le loro gemme e si preparano a rivestirsi di fiori e foglie. Gli insetti iniziano timidamente a mostrasi in volo.

Gli insetti, esseri essenziali ed insostituibili per la vita del nostro mondo, in questo periodo iniziano a riprenderne il possesso, dopo essere rimasti latenti durante tutto l’inverno, stagione che rappresenta per loro il periodo più difficile, di stasi.

Purtroppo non tutti sono così carini e idilliaci; alcuni sembrano creati apposta per infastidirci. Come dimenticare il disturbo che ci procurano durante i mesi estivi le mosche, le cimici delle piante, le formiche, gli afidi, e le aggressioni che dobbiamo subire dalle zanzare e dalle vespe? Ora questi nostri nemici stanno affilando le armi, preparandosi come ogni anno ad ingaggiare contro di noi una lotta che non sempre li vede vincitori.

Interessantissimi sono i sistemi che essi hanno escogitato per poter superare il periodo invernale. Alcune specie hanno trascorso l’inverno in forma di larva. Sono rimasti per l’intera stagione fredda in prossimità di una fonte di cibo, magari a poca distanza da dove era stato deposto l’uovo. Le larve della processionaria del pino, ad esempio, Thaumetopoea pityocampa, si fanno la loro dimora invernale sulle cime più alte dei pini, dove sono restate ben visibili all’interno dei loro grossi nidi per tutta la stagione. Questi bozzoli, grandi un pallone da calcio e formati dalle ragnatele di migliaia di larve, avvolgono la cima di più ramoscelli, delle cui foglie le larve si nutrono. Sono piccole ma numerosissime comunità, dove l’attività biologica di tutte le larve radunate contribuisce a mantenere una temperatura interna accettabile, e ad evitare il rischio di congelamento per i suoi ospiti.

Parecchi insetti trascorrono invece la stagione fredda sotto forma di uovo. Le uova si riattivano in questi giorni per schiudersi e liberare le larve. La zanzara tigre, Aedes albopictus, importata dall’Asia da pochi anni, è la nostra nemica più recente. Ha passato i mesi freddi come uovo, deposto in prossimità di qualunque ristagno d’acqua, anche piccolissimo e temporaneo, come una pozzanghera; alle piogge primaverili l’uovo si schiude, la zanzara completa in pochi giorni il ciclo di sviluppo larvale, ed è in grado di compiere i primi voli.

Altri insetti infine superano l’inverno da adulti, individui cioè completi di ali e di organi riproduttivi. Capita per le formiche e per le api, che rimangono poco attive, e per lo più rintanate nei loro rifugi, dai quali escono solo sporadicamente, in giornate particolarmente calde, oppure per affrontare eventuali situazioni di pericolo.

Non solo gli insetti sociali hanno questa strategia: Culex pipiens, la zanzara comune, si comporta in modo simile. Anche essa ha trascorso l’inverno come adulta, solitaria in rifugi caldi: qualcuno di noi l’ha inconsapevolmente ospitata in casa in questi mesi. Con la bella stagione, effettua i suoi primi pasti di sangue e depone le uova, ricominciando il ciclo per la nostra gioia.

L’accenno rapido e schematico ai cicli vitali di alcuni insetti, ci fornisce già un’idea chiara di quanto sia importante la conoscenza delle singole specie e del loro comportamento. La lotta ad un insetto molesto, come la processionaria o come le due zanzare citate, va operata a tempo opportuno e cum grano salis.

Sarebbe sciocco attendere, prima di fare una disinfestazione, che il nostro giardino sia invaso di zanzare che rovinano le nostre grigliate e le nostre serate al fresco sotto gli alberi. Il momento propizio per agire è questo, quando gli insetti sono ancora pochi e si stanno risvegliando dal riposo invernale. Vanno individuati i siti dove possono essere presenti uova o larve di zanzara: tutte le raccolte d’acqua, anche minime, vanno svuotate. Ove questo non sia possibile, l’acqua va trattata con prodotti appositi che impediscono lo sviluppo delle larve. Esistono a tal fine prodotti chimici, più aggressivi, ma anche prodotti biologici, a base di batteri patogeni delle larve.

Se si fa molta attenzione, e si agisce per tempo, proprio in queste settimane, diventa possibile far sì che la gran parte degli adulti non nascano neppure. La necessità di interventi massicci e generalizzati con insetticidi adulticidi sarà così ridotta, e noi potremo goderci indisturbati il piacere del nostro verde.

ANCHE GLI INSETTI NEL LORO PICCOLO IMPARANO

L’evoluzione di ogni specie biologica procede per gradini molto bassi, si potrebbe quasi dire per inciampi successivi, che portano una popolazione a scartare o selezionare determinate forme o comportamenti. Il dibattito su quanto siano frequenti oppure alti questi gradini, che ciascun gruppo di animali o di esseri viventi in genere debba affrontare, è aperto; da un secolo e mezzo, i biologi rielaborano l’insegnamento di Charles Darwin, proponendo sottoteorie sempre più elaborate per descrivere la storia di ciascun taxon.

Il disinfestatore si trova ogni giorno a contatto con animali soggetti, come ogni altro vivente, alle leggi dell’evoluzione; l’urgenza professionale che lo spinge ad analizzare questo fenomeno è del tutto peculiare. Sappiamo che Darwin, e con lui altri scienziati evoluzionisti, hanno tratto le loro conclusioni anche delle esperienze di contadini, allevatori, zoologi. Per certi versi, il punto di vista del disinfestatore è specularmente opposto, poiché egli guarda ad esseri viventi che sta cercando di contrastare: una posizione la nostra, poco empatica con l’oggetto di studio, ce ne rendiamo conto, ma spesso necessaria.

Di norma distinguiamo grossolanamente due categorie di animali infestanti: vertebrati ed artropodi. Tra i primi, roditori e volatili, si annoverano animali più simili a noi per caratteristiche anatomiche e fisiologiche, oltre che per comportamenti istintivi. Non fatichiamo per nulla ad immedesimarci in un topo che cerca di procurarsi il cibo senza essere visto, o in un colombo che deve raggiungere il nido dove nutrire i propri piccoli. Sono comportamenti che appartengono anche alla nostra indole, anche se fortunatamente non proprio alla nostra esperienza diretta. Quando studiamo le loro mosse, prevediamo istintivamente quali siano le loro priorità e quali risposte daranno a ciascun problema. Da qui deriva la parte più stimolante del nostro lavoro: osservare, ragionare, prendere decisioni; è quello che facciamo sia noi disinfestatori, sia i nostri antagonisti.

La condotta degli artropodi è decisamente diversa. Essi hanno scale di priorità profondamente differenti, e ci risulterebbe difficile solidarizzare con una blatta infanticida o con una formica che si immola ciecamente di fronte ad un pericolo. Non di addentriamo per ragioni di spazio nell’analisi della soggettività di un artropodo, cioè di quanto questi animali abbiano sviluppato una coscienza di se stessi, e quanto i loro comportamenti siano stati selezionati in modo da preservare la sopravvivenza e la riproduzione: del singolo individuo (poco); della popolazione, della famiglia o del gruppo geneticamente uniforme (molto spesso); della specie (mai?). Limitiamoci ad osservare che ogni loro comportamento è standardizzato, e quindi, una volta noto, più facilmente prevedibile e manipolabile. Dal nostro punta di vista, faticheremo molto di più a comprendere come possa un insetto volare insistentemente contro lo stesso vetro fino a sfinirsi, senza studiare percorsi alternativi; una volta però compreso il meccanismo, questo tenderà a ripetersi praticamente all’infinito, riservandoci poche sorprese.

Il lavoro del disinfestatore è quindi più meccanico quando rivolto ad artropodi, mentre nei confronti dei vertebrati sono necessarie maggiori doti di improvvisazione. Così dicendo, abbiamo ovviamente definito un confine grossolano, soggetto ad infinite sfumature, ed anche a qualche eccezione davvero interessante.

Citiamo un paio di recenti ricerche, una basata sulla semplice osservazione del comportamento in natura, l’altra eseguita inducendo una risposta in un ristretto numero di insetti. Partendo dalla seconda, il professor Chittka della Queen Mary University di Londra ha utilizzato dei bombi, insetti che molti conoscono come delle grosse api, molto carini perché pelosissimi e tutto sommato inermi, al contrario delle simili vespe.

In laboratorio, alcuni bombi avevano imparato che trasportando degli oggetti, delle piccole palline, in un determinato luogo, ne ricevevano in cambio una ricompensa, sotto forma di liquido zuccherino. Un bel passo avanti nell’apprendimento, ma nessun clamore: sono molti gli animali, noi compresi, che possono assimilare un compito per del liquido zuccherino, per un bicchiere di bibita gassata, o per chissà cos’altro. La sorpresa dell’esperimento sta nel secondo passo: altri bombi sono stati messi ad osservare le operazioni, ed una volta messi alla prova, hanno dimostrato di avere imparato osservando i propri simili; immediatamente si procuravano la ricompensa portando le palline al punto prescelto dagli sperimentatori. Complicando l’esperimento, i bombi sono stati messi alla prova con alcune palline che sembravano più comode, perché più vicine all’obiettivo, ma che erano impossibili da spostare perché incollate; anche qui i bombi hanno appreso senza problemi, semplicemente osservando i loro simili, quali palline conviene muovere e quali invece si rivelano uno sforzo inutile.

Una brutta botta per il nostro senso di superiorità di vertebrati: esistono insetti in grado di osservare ed imparare. (Molto meglio di alcuni frequentatori dei talk show elettorali.)

L’altra ricerca alla quale accennavamo si basa invece sull’osservazione delle zanzare, e dei loro comportamenti in natura, così come sono stati indotti e selezionati dell’uomo, anzi, dai disinfestatori. Numerose ricerche effettuate nei paesi tropicali, dove la zanzara anofele vettore della malaria causa ogni anno migliaia di vittime, hanno evidenziato un cambiamento nelle abitudini delle zanzare. Il DDT, e in genere gli insetticidi permessi ed utilizzati nei vari Paesi, vengono applicati negli ambienti chiusi direttamente sulle pareti, laddove si sa che le zanzare appoggiandosi entreranno in contatto con le sostanze in grado di ucciderle. Dopo decenni di utilizzo di queste tecniche, i biologi sul campo hanno osservato una sorprendente evoluzione: le zanzare non si appoggiano più sulle pareti, ma cercano in ogni modo di volare direttamente verso l’ospite da pungere. Hanno imparato ad evitare l’insetticida? Non proprio: hanno semplicemente seguito un classico meccanismo evolutivo. Tra le zanzare che non avevano mai conosciuto gli insetticidi, doveva già esistere una seppur minima differenza genetica che ne influenzava il comportamento: la maggior parte di esse procedeva per brevi voli verso l’ospite, appoggiandosi qua e là anche sulle pareti, prima di arrivare al pasto; la maggior parte, ma non tutte: altre zanzare volavano verso la nostra pelle direttamente dall’esterno, senza prima essere notate. Se le prime e più “normali” sono state falcidiate dall’applicazione degli insetticidi, coi quali venivano a contatto sulle pareti, le altre zanzare hanno avuto più possibilità di sopravvivere, e di riprodursi. La genetica, ed i comportamenti di una zanzara ad essa correlati, hanno necessitato di numerose generazioni per manifestarsi; tuttavia, nel giro dei decenni e delle centinaia di generazioni succedutesi nel frattempo, il cambiamento è avvenuto. Queste zanzare non si appoggiano più alle pareti. Si tratta di popolazioni costituite quasi interamente da discendenti di chi già in precedenza amava volare più a lungo. Anche l’utilizzo delle zanzariere a protezione dei letti, che in alcuni paesi tropicali rappresenta la più sicura autodifesa dalla malaria, ha indotto cambiamenti nel comportamento delle zanzare, che tendono ormai a non appoggiarsi alle reti sulle quali si smarriscono, o muoiono per contatto con gli insetticidi. Un brutto problema per i disinfestatori, che vedono ridursi l’efficacia delle applicazioni di insetticida alle pareti.

La risposta a questi problemi è duplice. Da una parte, senza dubbio l’innovazione è l’arma principale con la quale rimanere al passo, di fronte ad ogni cambiamento. Innovare in questo caso significa osservare ogni fenomeno, e studiare strategie nuove, insieme a tecniche, strumenti e prodotti chimici.

Accanto a ciò non dobbiamo dimenticare che cambiamenti evolutivi così repentini negli animali infestanti sono dovuti anche a comportamenti standardizzati da parte nostra. Di fronte al prevalere generalizzato di una ben precisa tecnica di disinfestazione, pensiamo ad esempio all’applicazione di esca in gel contro Blattella germanica, è ovvio che l’insorgenza di popolazioni resistenti sia solo questione di tempo. La resistenza si può manifestare sia come immunità ad un determinato prodotto chimico, sia come comportamento che elude la nostra tecnica applicativa, e qui la natura ci mostra puntualmente come sempre più ricca di fantasia rispetto a noi.

ZANZARE

Non conosciamo nessuno che apprezzi le zanzare. Con le loro punture possono toglierci il piacere delle serate fresche d’estate, e di notte basta il loro ronzio per negarci il sonno.

In Italia se ne conoscono circa 60 specie diverse. Alcune, come la zanzara anofele vettore della malaria, hanno rappresentato nei secoli scorsi una seria minaccia per la nostra salute, ed ora la loro diffusione è stata notevolmente ridotta. Altre, come la zanzara tigre Aedes albopictus, sono presenti sul nostro territorio solo da pochi anni.

La zanzara più comune da noi è Culex pipiens, di abitudini notturne. La zanzara tigre colpisce invece preferenzialmente nelle ore crepuscolari. Segnaliamo inoltre Ochleranthus caspius, fastidiosissima anche nelle ore del giorno, soprattutto nelle province risicole.
Chi non sa che zanzara sta combattendo, vi farà soltanto perdere tempo e denaro. Alcune zanzare sono in grado di volare per chilometri, altre non sono invece in grado di percorrere che poche decine di metri. Enormi sono anche le differenze riguardo alla riproduzione, per ricercare ed eliminare le larve.

Un attento sopralluogo porta a conoscere con chiarezza il problema da risolvere. Successivamente si pianificano più operazioni coordinate: con azione adulticida per dare immediato sollievo alle persone e, cosa di fondamentale importanza, con azione larvicida per interrompere il processo riproduttivo.
Chi non sa che zanzara sta combattendo, vi farà soltanto perdere tempo e denaro. Alcune zanzare sono in grado di volare per chilometri, altre non sono invece in grado di percorrere che poche decine di metri. Enormi sono anche le differenze riguardo alla riproduzione, per ricercare ed eliminare le larve.

Un attento sopralluogo porta a conoscere con chiarezza il problema da risolvere. Successivamente si pianificano più operazioni coordinate: con azione adulticida per dare immediato sollievo alle persone e, cosa di fondamentale importanza, con azione larvicida per interrompere il processo riproduttivo.

Nella lotta alle zanzare, è essenziale anche la collaborazione tra disinfestatore e cliente. A quest ultimo spetta il controllo puntuale dell’area trattata, per descrivere le abitudini delle zanzare e capire quindi di quali specie di tratti o, soprattutto a inizio stagione, per accorgersi dei periodi di sfarfallamento onde stabilire il calendario dei trattamenti.

CONTRO LE ZANZARE, UNITI SI VINCE!

Si avvicina la stagione calda. In questo momento le uova di Aedes albopictus, la zanzara tigre, stanno per schiudersi e formare larve nelle cavità degli alberi, sotto foglie e siepi, ovunque ci sia semplicemente umidità. 

L’altra zanzara più comune, Culex pipiens, ha trascorso invece la stagione fredda come individuo adulto: dentro a cantine, tombini, ovunque il freddo non sia stato intenso ha potuto sopravvivere, e nelle giornate di sole compie i primi voli per cercare un partner e deporre le uova. 

Cosa fare? 

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FACCIAMO IL PUNTO SUL VIRUS ‘ZIKA’

Bisogna temere il virus ‘zika’?

Il virus ‘zika’ è una forma influenzale molto temibile, poiché sebbene i suoi effetti siano quasi sempre trascurabili, in alcune donne incinte sembra purtroppo che abbia indotto come gravissima complicanza, la microcefalea del nascituro. 

Il virus è quasi certamente originario dell’Africa. Si è diffuso in Brasile, si ritiene, all’epoca dei Mondiali di calcio del 2014. Persone portatrici del virus lo hanno trasmesso ad altre, sia probabilmente attraverso contatti sessuali, sia attraverso punture della zanzara Aedes aegypti, che è diffusa in Brasile. 

A che punto è la diffusione di ‘zika’ in Italia?

A tutt’oggi in Italia, e così in tutta Europa, si sono registrati solo pochissimi casi di virus, tutti curati con successo. Si è sempre trattato, fino ad ora, di persone che avevano contratto il virus in Sud America. Nessun contagio è avvenuto in Europa, quindi, così come nessun bambino è stato colpito dal virus. 

Poiché il virus ha infettato solo una manciata di individui in Europa, e poiché la stessa zanzara Aedes aegypti è assente dal nostro territorio, fino ad ora il rischio ‘zika’ rimane solo una minaccia teorica. 

Dobbiamo temere le zanzare per via del virus ‘zika’?

In Italia sono presenti principalmente 2 specie di zanzare: Culex pipiens e Aedes albopictus. La zanzara tigre, stretta parente di A. aegypti, ha già dimostrato negli ultimi anni di poter veicolare virus influenzali molto simili a ‘zika’: ‘dengue’ e ‘chikungunya’. Non è quindi impossibile che in futuro, se dovesse trovarsi a pungere persone infettate da ‘zika’, la zanzara tigre si riveli un possibile vettore del virus.

ZANZARE E FILARIA, SI ALLEANO DUE PERICOLOSI PARASSITI

La filaria è una malattia dovuta alla presenza di un verme parassita nei tessuti sottocutanei o cardiaci. Colpisce soprattutto il nostro cane, per il quale costituisce una seria minaccia alla salute, ma incidentalmente può interessare anche l’uomo, dove non è in grado di riprodursi e completare il suo ciclo biologico ma si accresce comunque, arrecando gravi disturbi. Si tratta di un disturbo serio, e purtroppo non raro nella nostra penisola, in particolare nelle zone ricche di acque stagnanti.

I vermi agenti eziologici della filaria, Diriofilaria repens D. immitis, hanno bisogno di due animali ospiti: nel cane e in altri mammiferi si accrescono e si riproducono. Tramite le zanzare, invece, si diffondono, approfittando delle punture su differenti animali.

Se un cane è colpito da filaria, la sua salute va preservata con intervento veterinario. Occorre inoltre prestare la massima attenzione alle zanzare, poiché il pericolo di trasmissione all’uomo non è remoto. Tutte le zanzare appartenenti ai generi AedesCulex Anopheles sono in grado di tramettere la filaria. La più pericolosa è probabilmente la zanzara tigre, poiché ha l’abitudine di effettuare numerose punture in un breve lasso di tempo, aumentando le probabilità di trasmettere malattie da un ospite ad un’altro.